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CAOS vs ORDINE
18/04/2009 - 18/05/2009

Caos e Ordine. Tra questi due poli si inscrivono le opere di Zipora Fried, David LaChapelle, Federico Herrero, Robert Kelly, Boo Ritson, Danny Rolph, AA Rucci, Spencer Young: ognuno cerca di contenere il caos in materiali e forme personali, ognuno cerca di dare il proprio ordine alla materia caotica che manipola.
       
 
Il caos converge in ordine, ma mantiene la tensione originale che pulsa nelle vene del tratto, nella superficie del materiale, nelle linee, nell’accensione dei colori.

La dicotomia e lo scontro tra Ordine e Caos nascono sì dall’accostamento delle opere all’interno dello spazio della galleria, ma ancor prima germogliano all’interno di ogni singolo lavoro in mostra, sia esso fotografico o pittorico.



Il viaggio nella confusione caotica applicata al "twinwall" Pitt the Younger di Danny Rolph avviene sotto la guida di un subconscio che dispone istanti personali presenti e passati sul rivestimento industriale in policarbonato rigido: il bombardamento della vita moderna viene restituito tramite suoni, forme e colori immersi nel fluttuante percorso che si districa tra guizzi di luce e quel senso di perdita dell’infanzia che filtra simultaneamente dallo strato sottostante. Rolph attinge al caos per restituirlo in un modo che lui ritiene ordinato.

Difficile dire se si tratta di caos o di ordine quando ci si trova di fronte alle due opere di AA Rucci, dai poetici titoli da teatro dell’assurdo, dalle metalliche linee verticali, dagli orizzonti astratti disposti in modo da delineare una spazialità senza spazio che pur comprime in pochi centimetri le figure principali, voluttuose e fumettistiche, le sue mini-epopee da raccontare.

La delicata patinatura del caos teatrale di David LaChapelle, in cui la natura carnivora è così standardizzata e a fuoco da diventare surrealmente ordinata, si confronta con i colori accesi e le pennellate quasi d’umidità murale di Federico Herrero e, soprattutto, con l’immagine pop di The rancher di Boo Ritson, artista che tramuta la realtà (con i suoi stereotipi) in scultura, la scultura in pittura e, alla fine, fa convergere tutto nella fotografia che ne testimonia il risultato: una figura chandleriana di cow-girl a metà tra Andy Warhol e David Cronenberg, in cui materiale pittorico e tessuti umani sembrano mescolarsi per creare una nuova identità.

Intanto Spencer Young affronta con Shadow Figures la caotica realtà urbana con uno sguardo inedito che spinge a interrogarsi sulla visione, su ciò che NON c’è: un parcheggio metropolitano deserto diventa caverna di Platone, teatro di ombre in pieno giorno, lanterna magica en plein air.

In quella che si potrebbe definire “Stanza della calligrafia perduta”, la perfetta astrazione di Robert Kelly si affianca autoritaria alle austere e monumentali opere di Zipora Fried.

Robert Kelly ricerca l’ordine assoluto nel perfetto equilibrio geometrico, sovrapponendo alle carte-fenotipi una calligrafia di pennellate rigorose (in Invisible Cities IV) o di forme sintetiche (Mimesis Rouge II) che ricordano la cristallinità di Malevič, mentre Zipora Fried con Untitled e più ancora con la monocromia di January realizza un ibrido tra disegno, opera concettuale e performance: la Fried tesse la sua tela di grafite in modo instancabilmente preciso e ordinato, tratto dopo tratto, raggiungendo infine una non-scrittura che cancella e ricopre, che nasconde. Con un gesto ripetitivo e tenace, l’artista israeliana crea una forma monocroma semplice e monumentale, che da vicino mostra tutti gli sbalzi d’umore laddove la tensione esecutiva si riflette nella matita più calcata, nella linea più nervosa. Laddove cioè si ritrova uno dei modi di forzare il caos nella prigione di un gesto per poterlo poi riordinare sulla superficie della propria opera.
   
         
 
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